venerdì 17 giugno 2011

UN UOMO CHIAMATO "CATFISH"

Raramente mi entusiasmo più ai dischi (continuo a chiamarli dischi, nonostante siano diventati cd). Ogni tanto capita che mi piaccia molto qualcosa: i Tinariwen, i Black Keys, "Me Ciamo Fora" dei Radiofiera, "Fradei" de Los Massadores, Simone Zanchini. Perciò non faccio più la posta ai negozi di dischi. Una volta ero sempre lì coi schei in man, adesso so già che pochissime volte non rimpiangerò i soldi che ho speso. Perciò quando m'hanno regalato "Rally At The Texas Motel" di Ralston Bowles sono rimasto un poco freddino. Anche il rock'n'roll FM americano m'ha un po' spappolato i maroni. Ma mi sono sbagliato. Sono venti giorni di continuo che ascolto sto disco: "Rally At The Texas Motel". Io son fatto così: se una roba mi piace non ne vado più fuori.  Di continuo, in particolare la canzone omonima. Minchia, un miracolo che un disco di rock'n'roll mi mandi fuori di testa come una volta mi sparava fuori "Just Another Sunday In Hell" dei Blasters. Ma c'era una cosa di cui non avevo tenuto conto: CHI mi aveva regalato il cd di Ralston Bowles. L'uomo bianco più vicino al nero che abbia mai incontrato: L'Allodola, Il Blue Jay. Ciò che Dio ha mandato in Italia per far capire a tutti noi poveri baluba, con la sveglia al collo e l'anello al naso, che cos'è il blues. CATFISH.

La prima volta che seppi della sua esistenza fu sul Mucchio Selvaggio. Migliaia di anni fa. Lessi di una trasmissione radiofonica che si chiamava "Trouble No More", da Radio Flash di Torino, condotta da due che si chiamavano CATFISH & Kowalski. Roba forte. Roba blues. Ma io mica potevo ascoltarla dal Veneto, mica c'era lo zapping, lo stalking e lo streaming. In Veneto la Roba Forte mica s'ascoltava. Poi lessi di LUI in un libro intitolato "Nessuna Cortesia All'Uscita" di Massimo Carlotto, in cui faceva la spiritual guidance, una roba tipo il dee jay di "Punto Zero", per Marco Buratti, l'Alligatore. Poi LO ascoltai appena uscito dal lavoro, alle tre di mattina di un sabato, mentre trasmetteva la Roba Forte da Rai Stereonotte: "Sono Catfish e vi trasmetto la Roba Forte di Chicago Illinuà...". Miiinchia, lo stesso Catfish di "Trouble No More". Miiinchia, Dio Fa, Incredibile. E poi cominciai a scrivere per il Blues e quando scrissi il primo racconto radiofonico per la rivista: "RADIO DAYS. I Giorni della Gloria Radiofonica" fu la prima persona, senza conoscerlo (fu il direttore del Blues a passarmi di sfroso il suo indirizzo mail), a cui spedii il pezzo. Una settimana dopo, di sera, squillò il mio cellulare, da un numero sconosciuto: "Sei Ballestracci. Io sono CATFISH. Ho letto la tua roba. Sì, sì, mi sembra abbastanza forte. Bravoballe". E poi mi racconto di John R., della WLAC, della WDIA, della WROX...Roba che io conoscevo perchè avevo studiato, mentre lui la conosceva da sempre, da appena nato perchè Dio gli aveva dato una consegna: "Anche se nessuno nasce imparato, Dio Fa, tu nasci imparato perchè devi scendere tra quelli con la sveglia al collo e l'anello al naso per insegnare loro il Blues. Hai capito? Tu non avrai nome. Niente nome, te ne daranno tanti come a me, ma tu in realtà sarai solo CATFISH. Cerea neh!. Arvutze". Così io decisi di essere suo discepolo e quando mi fu possibile lo volli nella terra dei baluba. Presentò a Castelfranco Veneto il suo libro "Blues", che Dio stesso gli ordinò di scrivere perchè fosse l'unico testo credibile in italiano per spiegare l'incredibilità del Blues. Poi il giorno dopo si commosse sulla strada per Zibello alla vista della Bassa. CATFISH quasi, quasi si mise a piangere e capii che un uomo, per essere tale, deve riuscire pure a commuoversi. Fummo insieme a Bellinzona, a Rovigo, con "Denti da Coniglio" Bacco, una delle poche creature splendenti di luce abbagliante nel fosco sottobosco blues italiano. Attraversammo insieme pianure e montagne. Lo vidi aprire varchi dove prima c'era la roccia solo ancheggiando e canticchiando: "You Got To Move From There...babyrock...". Io stavo sempre un passo indietro, cercando d'imparare la magia. Mi comprai persino i ray ban con le stanghette pieghevoli d'alligatore per essere come lui. Inventò pure le proprietà omeopatiche del blues e i musicisti diversamente bianchi. Prima di CATFISH nel paese dei baluba non c'era niente. Solo professori universitari che capivano bene e spiegavano cosa pensasse un contadino del Mississippi negli anni 30. L'ultimo show che ricordo di LUI è un vero proprio sermone con levitazione, come nei libri di Lomax, e trance, durante una serata con Massimo Carlotto e gli Holy Smoke. "Perchè il Blues non vi abbandonerà mai. Penserete di esservi liberati di lui, ma lui sarà lì alle vostre spalle. Il Blues non morirà mai. Tutto morirà, ma il Blues non morirà mai!!!!!". A un paio d'anni di distanza c'è ancora chi mi viene a chiedere di LUI. Gente che non s'interessa al blues, ma che ha cominciato ad ascoltarlo per via del suo sermone. "Ma tu che lo conosci....E' proprio così? Ma davvero è proprio così....". Io li guardo con occhi fiammeggianti e dico: "Voi non state parlando di un uomo...E neppure di un semidio....VOI STATE PARLANDO di
CAAAAATFIIIIIIIIIISSSHHHHHHH!!!!!!!".

mercoledì 1 giugno 2011

FINALMENTE: LE TINARIWEN E IL BLUES, ANNESSI E SCONNESSI.

Io mi vergogno. Dopo aver ascoltato "Talkin' Timbuctou" di Ali Farkà Tourè & Ry Cooder non sono andato in visibilio, tantissimi anni fa. Era un casino, perchè quelli che leggevano il Buscadero e altri giornali barricaderi dicevano e ti facevano pensare che se non ti piaceva quel disco non capivi proprio un cazzo di musica. Il problema era che ero giovane e che, perciò, dovevo essere en avant garde. Perciò l'ho ascoltato e riascoltato, ma gnente da fare. "Talkin' Timbuctou" era piacevole, forse, ma non è che mi buttassi per terra e gemessi dalla commozione. Insomma io e la musica africana non siamo mai andati tanto d'accordo. Poi a San Gallo, il giorno che distrussi il vetro del pulmino, Justin Shoaw passando davanti a un manifesto di una manifestazione che includeva i Tinariwen mi fece: "Oh bel! T'è mai scultè i Tinariwen...Son propri fort". Passarono due anni di Mississippi Hills Blues e il mio abbandono del blues praticato dal vivo, prima che m'imbattessi in un negozio di Mestre, il luogo dove Venezia incontra il Resto del Mondo, in due cd dei suddetti: "The Radio Tisdas Session" e "Aman Iman". Quando li misi su fu come se Rocky Marciano si fosse incazzato con me: una continua tempesta di pugni in bocca. Erano meravigliosi: non i pugni, i Tinariwen. Erano come le ostriche: sentivi, davvero, l'Africa e il Tenerè. Video, video e video su youtube. Poi anche il DVD del loro concerto a Londra. E poi "Le Festival du Desert" a Essakane, il video non davvero, che ci vogliono una valanga di soldi per andarci. E poi le robe che posta Silvano Montagnoli. E poi il desiderio d'andare a Essaouirà per vedere l'Oceano e ascoltare la musica touaregh. Sono stati i Tinariwen a farmi tornare la voglia di andare a vedere com'è davvero la musica, come nel 1994 desideravo da accopparmi andare nel Mizzhippy. E' il loro modo di suonare che non è tipicamente africano, ma incrociato nella danza e contradanza che non riesco proprio a spiegarmi, con Mano Negra e Junior Kimbrough che ha buttato giù la mia porta dell'Africa. Come diceva una che conosco: "Ogni porta ha la sua chiave". Ora li ascolto tutti: Alì Farka Tourè e sogno sullo studio di registrazione dove ha registrato "Niafunkè", Le Tartit, Rokia Traorè e persino la musica dance africana. Ho veramente le budella di fuori come Salgari all'inizio di "Disegnare Il Vento" di Ernesto Ferrero. Non so quanti anni dopo posso dire: "Oh! Adesso mi ascolto Talkin' Timbouctu". Ho un solo rammarico. Anche se andassi Al Festival du Desert, capirei fino ad un certo punto. Io sono un bianco di Castelfranco Veneto, non un touaregh di Tissalit e neppure un nero di Clarksdale. Una volta avrei potuto dire di avere il blues dentro. A quasi 50 anni evito di dire simili puttanate. Mi piace molto il blues e la musica africana, ma sono bianco di Castelfranco Veneto. Fortunatamente, aggiungo, che essere touaregh o nero di Clarksdale è dura. Ben dura.