domenica 31 luglio 2011

IN UN MONDO DI COVER

pubblicato sul GAZZETTINO di Treviso, domenica 31/08/2011
In cima alla catena musicale è davvero facile piazzarci qualcuno. A bizzeffe: Glenn Gould, Tom Waits, Simone Zanchini, i Tinariwen. Chi più ne ha più ne metta. Il problema è quando si va in fondo alla catena musicale: chi ci si mette giù in fondo? "Down In The Bottom"? Tra i dannati? Qui è più difficile. Ci vuole del pelo sullo stomaco. Però è un brutto mestiere, ma qualcuno deve pur farlo. Io in fondo alla catena musicale ci metto le cover-band. Ma, attenzione, non tutte le cover-band, che il termine in questione può essere ristretto ed esteso a piacere e magari ci si ritrova a litigare con chi non si intendeva. In fondo alla catena musicale ci metto le cover band di un solo, particolare artista. Io ho avuto a che fare per la prima volta con una cover-band specializzata a Monselice, credo nel 2009. Stavamo nello stesso spettacolo. Presentavo un libro accompagnato da un pianista argentino, Marcelo Zallio, e dopo di noi si esibiva questa band omaggio a Luciano Ligabue. Ero curioso, perchè ero stato un fan del Liga fino a "Una Vita da Mediano" e ascoltarli m'interessava. Sono rimasto a bocca aperta ascoltando la voce del cantante veramente a un pelo da quella del Liga e pure attonito a guardare i musicisti che suonavano cicco-cicco ai dischi del correggiano. Ma già alla seconda canzone mi son detto: "Ma che accidenti ci stai a far qua? Vai in macchina e infila nell'impianto "Buon Compleanno Elvis". Almeno ascolti l'originale". E poi guidando m'è venuto pure in mente che in quelle band magari scartano portenti musicali perchè si discostano troppo dagli originali: a loro, magari, va bene un cantante che becca appena, appena ma che è a un palmo dalla voce del coverizzato. Comunque, alla fin dei conti, se va bene a loro, va bene anche a me. Sono solidale e anche contento se con i cachet della papagallata, che le migliori cover band mica suonano per quattro lire, i musicisti si pagano il mutuo, l'assegno di mantenimento per i figli, e magari pure riescono a evitare la manovia o di stare dietro lo sportello in banca. Però ciò che proprio non capisco è il pubblico. Ci sono quelli che cantano "Piccola Stella Senza Cielo", magari pure fanno la lacrima, davanti a chi non è Luciano Ligabue. Si vede da due chilometri che è più basso e più grassottello. Ci sono quelli che dicono senti che bea chitarra, se bravi i Pinfloid, ma quello che suona non è per niente David Gilmour. E ci sono quelli che si scatenano davanti a uno che canta "I Will Follow" e "Desire", che si muove proprio come quel cantante e ha la voce proprio identica, ma è da Camponogara e non da Dublino. Ai miei tempi c'era un tizio alla tivù: Alighiero Noschese. Un bravissimo imitatore. Alle volte si confrontava coll'imitato e, sulle prime, non si capiva chi fosse il vero politico o cantante e chi quello falso. Eppure non era un pappagallo. Era quello che voleva essere e veniva pagato bene per esserlo. Un bravissimo comico.

lunedì 18 luglio 2011

IL PANORAMA DAL DESERTO

(pubblicato sul Gazzettino, pagina di Treviso, di domenica 17/7/2011)
In un'intervista concessa a questo giornale, Mirko Artuso ha definito il Nord Est un "deserto culturale". Credo che la sua definizione si riferisca al Nord Est contenuto entro i confini della nostra regione, perchè sia il Friuli Venezia Giulia che il Trentino Alto Adige hanno un piuttosto interessante movimento di stimolanti manifestazioni . Precisato questo, come non sottoscrivere in pieno l'affermazione di Mirko? Ma da ciò vorrei divagare un poco, soffermandomi un secondo su un possibile perchè sia un deserto culturale. Mi viene subito da pensare che sia soprattutto per la diffusissima incapacità di confronto. Una delle critiche fatte a Bolascolegge, manifestazione a cui ho partecipato, è che erano troppe le presenze letterario/musicali foreste, da Torino in particolare. "Più Nord Est, per favore. Più Nord Est", da leggere, evidentemente, "più Veneto". Dapprima mi sono irritato, poi mi è venuto da ridere. A crepapelle persino. Io sono veneto a tutti gli effetti: pur non essendo nato qui, parlo veneto, scrivo gli sms in veneto e mi sento pure veneto. Posseggo quello che si dice il "senso di appartenenza" e anche, un pochino, me ne vanto come ci si vantava, da piccolini, di appartenere ad una banda. Ma non penso affatto che noi possiamo insegnare qualcosa a qualcuno, men che meno in campo culturale. Basta, per esempio, osservare i cartelloni della quasi totalità delle manifestazioni musicali estive: casting d'artisti triti e ritriti, con date alternative a 100 chilometri, sorprendenti tanto quanto l'acqua calda nella doccia. Persino le manifestazioni più importanti, che hanno un folto pubblico assodato e fedele, non rischiano una briciola: sicurezza per l'amordiddio, che la gente abbia quello che vuole. Come spettatore ho seguito per un paio d'anni una manifestazione torinese: Musica 90. Lì il rischio era assoluto. Non si sapeva cosa avrebbe combinato Diamanda Galas o chi fossero Le Tartit, Rokia Traorè e i Tinariwen, ma si usciva dagli spettacoli con la sensazione d'essere stati, per un paio d'ore, da tuttaltra parte del mondo. Ma non è una mera questione torinese. A Maniago, sottolineo, qualcuno è riuscito a far salire sul palco Marianne Faithfull e l'anno prima Arto Lindsay. A Maniago, ribadisco. E lo stesso vale per la scrittura. Supponiamo per un istante che qualcuno necessiti di un agente letterario, oppure desideri parlare davvero di case editrici e di scrittori, non del figlio dell'avvocato o del medico che adora scrivere e qualche tipografo pubblica, o anche trovare una media libreria che non abbia una scelta intimo/Yamamai, dove deve andare? A Milano o Torino, per forza. E qui qualcuno dice sempre: "Ma sono grandi città!". Peccato che siano più di dieci anni che la meniamo con la metropoli conglomerata del Nord Est: una roba tipo Los Angeles insieme a San Diego e che nel 2019 il Nord Est voglia essere il luogo europeo della cultura: significando, in realtà, Venezia che, come tutti sanno, possiede un mondo culturale a parte e manifestazioni come "Incroci di Civiltà" inimagginabili di qua del Ponte della Libertà. Colpisce basso quindi l'affermazione di Gianmario Villalta quando dice che Pordenonelegge ha aiutato anche la costruzione di un vero ambiente letterario locale, riferendosi molto probabilmente alla punta dell'iceberg rapresentata dall'inserimento nella cinquina del Campiello di Federica Manzon. A questo punto, a tutti quelli che affermano che Roma e Milano trattano il Veneto come una ruota di scorta, bisognerebbe rispondere che, in realtà, ci abbiamo messo molto del nostro per esserlo.


domenica 10 luglio 2011

UNA CERIMONIA JAZZ. JAZZ IN ITALY.

Sono stato ad un concerto questa settimana. A Villa Varda di Brugnera, per Blues In Villa. Ho ascoltato il quintetto di Terence Blanchard. Jazz, quindi e a me il jazz fa sempre un certo effetto. Mi fa sempre tornare in mente la prima volta che ascoltai un concerto di jazz al Teatro Accademico della mia città. Barney Kessel. Rimasi impressionato più che dalla musica, che non avevo proprio gli strumenti per dire A, magari neanche adesso, dalla gente agghindatissima che era filata al concerto. Alla fine ricordo i commenti: "Gheto sentio che roba, cossa chel fa? Che bravo, par Dio, che bravo!". Tutti ammicanti e un pochetto untuosi. Alle volte anche con la bavina sotto il labbro perchè durante il gig avevano pure approfittato per fare un sonnellino. Non è che sia un malmostoso, è che conosco bene i miei polli e quella serata la ricordo proprio bene. La faccenda m'è tornata in mente durante il concerto di Terence Blanchard. Gran concerto, davvero, e rimembrantemi sfilata di acconciature e vestiti lunghi. Grande aplomb tra il pubblico astante e competente. Io stavo attaccato al mixer e mi gustavo il quintetto quando, la concha che pariò el demonio, ha cominciato un pochino a piovere. Dico una roba tipo dieci gocce al minuto. Subito un po' di infiochettati hanno cominciato ad alzarsi e cercare riparo che io avevo gli occhi di fuori: "Minchia. Sono qui plaudenti e orgasmanti e appena fanno due gocce innocue, persino piacevoli, questi se la filano a cercar riparo?". Sì, sì. Gli appassionati di jazz hanno cominciato a sciamare per correre alle macchine e prendere gli ombrelli. Riapparivano dopo cinque minuti e aprivano ombrelloni grandi come il cielo per riparare le capigliaturine. Alcuni proprio s'allontanavano e la pioggia era leggerissima, appena, appena, al limite del finire da lì a un secondo. I musicisti dal palco vedevano la mal parata e cominciavano a essere inquieti: "Minchia e qui che cazzo facciamo? Sospendiamo, che facciamo?". Insomma poi è cominciata a venir giù un po' più dura e la gente ad alzarsi a frotte, già lo capivo meglio. Allora Terence Blanchard ha fatto quel refrain che chiama la chiusura e ha detto: "grazie, almeno proteggetevi dalla pioggia", ma mentre lo diceva non c'era quasi più nessuno davanti il palco. Però, in quel momento, veniva giù abbastanza di brutto, ma, insomma, non era la prima volta che prendevo acqua sulla testa. Dai, insomma, ci sta. Con un po' di gente ho provato a battere le mani per chiamare un ipotetico bis, ma Blanchard deve aver pensato: "Ma per chi cazzo lo facciamo il bis? Per stì quattro stronzi?". Non c'è stato bis e, subito dopo, ha cominciato a venir giù di brutto davvero. Me la son filata anch'io e mi son riparato sotto un porticato. Ha smesso subito. Ero un po' bagnato, ma dopo cinque minuti ero di nuovo asciutto. Si sa, il caldino estivo fa miracoli. Appena asciutto m'è venuta una gran voglia di cominciare a prendere a calci nei coglioni l'italian jazz public che non vi dico, ma anche le donne con le permanenti bagnate. Una gigantesca tempesta di calcioni, cosiccome durante le prime gocce avevo sperato nel famoso stormo di vacche in volo gaberiano/bunuelesco. Ma sono gesti e sogni che uno della mia età, quasi quarantanove, non può tenere. Un po' di aplomb echeccazzo!