lunedì 21 gennaio 2013

GUARDANDO DJANGO LIBERATO

Io sono uno di quelli che aspetta i film di Tarantino. Che li va a vedere sempre due volte. In anni più o meno recenti solo "Non è un paese per vecchi" l'ho rivisto due volte, pur non essendo di QT. Perciò non appena il mio corrispondente di Torino m'ha detto che Django era in sala mi sono fiondato nella prima sala cinematografica che lo proponesse. E per uno come me, nato e cresciuto coll'accompagnamento dei blues, è stato uno sballo. Quando è passata la scritta in rosso, più grande dello schermo, MISSISSIPPI, a momenti mi mettevo a piangere. So esattamente cosa disse Martin Luther King nel celebre "I Have a Dream" del Lincoln Memorial il 28 agosto del 1963. Disse: "Ho un sogno. Che PERSINO lo stato del Mississippi così tanto traboccante di ingiustizia e di oppressione sia un giorno un'oasi di libertà e giustizia". E' il PERSINO che spiega cosa fosse il Mississippi. Non era l'Alabama o la Georgia dei cavalieri bianchi del KKK. ERA PEGGIO. Come si vede nel film i cani sbranavano gli schiavi fuggiaschi, e secondo me, ancora adesso nel Sud, mica sono tanto contenti di vedere il film, e QT c'ha risparmiato gli stupri, bontà sua. Ecco, magari solo "Mississippi Burnin'" ha martellato quei tastini un pochettino ancora dolenti. Davvero quando ha parlato di Greenville, Mississippi, a momenti mi mettevo a piangere, ma s'accende la luce e compare INTERVALLO.
Io sono lì con le lacrime agli occhi e subito dietro a me, nella Multisala Manzoni a Paese, provincia di Treviso, sento una voce di ragazza che dice:
"Beh! sì non è male, ma c'è troppo sangue, ogni volta che ci sono quelle scene di eccessiva violenza io guardo il soffitto".
La MIA MENTE, non la mia bocca, parte alla svelta. "Ma, D.C. (uso le iniziali d'un intercalare decisamente molto, ma molto blasfemo) se odi il sangue che cazzo sei venuta a fare ad un film di Tarantino? Che c'è più sangue che nella scena del massacro finale nel campo di Mapache nel Mucchio Selvaggio...".
"Beh sai ho scelto di venire allo spettacolo delle otto, perchè domattina devo andare a messa presto, che poi devo fare una cosa verso le undici per la parrocchia...".
La MIA MENTE: "Ah D.C., D.C!".
E poi con voce di saputella sul tema: "Poi su questi temi ho letto "Le Avventure di Huckelberry Finn", che parla d'un ragazzo e un NEGRO che scappano, che allora era molto pericoloso...Vabbè che è un libro per ragazzi...".
La MIA MENTE, ma ormai anche la mia bocca stanno per partire in un: "Ciò brutta basabanchi (in italiano significa più o meno "bigotta", ma basabanchi è di più) Huckleberry Finn un libro per ragazzi? Le scuole cattoliche t'hanno proprio spappolato il cervello senza bisogno del fucile a pompa!". Di bestemmie ne ho sentite tante, ma che Huckleberry Finn è un libro per ragazzi è una delle peggiori. Di fronte a una così bestiale blasfemia stavo per girarmi e mandarla a cagare di fronte a tutti, quando un ragazzo albanese, seguito da un ragazzo indiano, quindi scuro di carnagione, sono venuti fuori dalla fila e si sono diretti verso l'uscita per andare a prendere un paio di soft drink. Un amico fà loro: "Beh! Dove andate?" e il ragazzo albanese preso dalla tarantinata risponde: "Beh! Mi porto via il negro". Lì il cinema è esploso e io ho avuto la chiara percezione che la parte migliore degli italiani saranno senza dubbio gli immigrati di seconda generazione. Grazie anche per questo, Quentin!

giovedì 17 gennaio 2013

LO SCRITTORE (O ANCHE IL MUSICISTA, PIU' O MENO E' LO STESSO)

E' il 50^ post del blog perciò riveste una particolare importanza e come tale va trattato. Buona lettura miei bazzicatori.

La parola SCRITTORE deve rivestire una serie di significati ancestrali che racchiudono elementi che attengono a una qualche sorta di sciamanesimo. E' bello farsi dare dello SCRITTORE, è come essere una specie umana che si distingue dalle altre perchè riesce a cogliere aspetti insondabili dell'essere perlopiù  preclusi. Esattamente come i cani con gli ultrasuoni. Credo che l'effetto subliminale della parola sia legato alle prime quattro sillabe, SCRI, che ricordano molto il suono che fanno i sacchetti di patatine quando si appallottolano e si buttano via. Il piacere sta nel ricordo dello scrocchio sotto i denti, molto simile all'appallottolio, di quei veli gialli genialmente salati. Quello dello SCRITTORE è proprio uno status così. Uno status meraviglioso. Ma non è, intendiamoci, una professione: in effetti io ho conosciuto solo una persona che campa facendo solo quello. Lo SCRITTORE è uno stato dell'anima, e se uno ti dice che fa lo SCRITTORE non esprime una professione, ma una sensazione. E, alle volte, è talmente prorompente che nei documenti ufficiali compare come professione. E' uno SCRITTORE, ma per otto ore al giorno fa il ragioniere, oppure il fruttivendolo. Nei casi estremi uno è pure avvocato, ma minimizza, perchè in realtà, dice, vorrebbe fare lo SCRITTORE, e qualcosa ha già scritto e qualcuno gliel'ha pubblicato: magari pagando 2500 euro per 400 copie che dovrà provvedere a vendere in qualche modo, ma non ci saranno problemi perchè, gliel'hanno detto in casa editrice, ha lo stesso, uguale talento di Paco Ignacio Taibo II e la gente ci metterà poco a scoprirlo. Pensate che ho pure sentito dire d'un tizio incluso nei candidati di SEL per le amministrative che ha fornito quale professione l'attività che lo fa campare: pubblico esercente o barista, ma s'è ritrovato SCRITTORE nei santini elettorali, perchè aveva scritto quattro o cinque libri. "Ma cazzo! Io non campo mica scrivendo, io campo spinando birre!". La risposta è stata che lui era in realtà e non lo sapeva, intimamente SCRITTORE  e solo incidentalmente pubblico esercente. La pura realtà è che la parola SCRITTORE ammanta una persona di, come direbbe Paolo Conte, un"afrore di coloniali" (afrore è maschile o femminile? per via dell'apostrofo), e anche chi gli sta intorno, mentre la parola barista, possiamo dire così, lo connota d'altri odori che, vuoi mettere, mica sono così amusant.

Da molto tempo chi scrive (nel senso, io in questo preciso momento) sta su quel pericoloso cordolo in cui si fanno i conti per poter spiccare il volo. Ma quello serve per campare se non hai nessuna buonanima che ti foraggia: 20.000 euro lordi l'anno, per poter contare almeno su 12.000 euro netti. Per chi suona sono 100 gig a 200 euro a serata, o il contrario: 200 a 100. Per chi scrive sono 15.000 libri venduti all'anno (più apparizioni e via così). Se stai sotto c'è qualcuno che, in qualche modo, ti mantiene, oppure una discreta parte dei guadagni è, per forza, in nero. E' un segreto di Pulcinella, ma spesso gli ARTISTI non esistono per il fisco e neppure per la previdenza sociale, ma sono opinion leader e dicono la loro sulla società: soprattutto ora che internet e le community consentono la democrazia liquida e ogni scarrafone di carisma può condividere la sua opinione su varie piattaforme. A loro basterebbe chiedere: "Scusa me la fai vedere la tua dichiarazione dei redditi? Che magari va a finire che non hai partecipato alle spese per la tua operazione d'appendicite il mese scorso...", giusto per farli piantare di dire cagate sui difetti della società in cui vivono, ma, giustamente, mi si obietterà che non si può mescolare l'ARTE col fisco.

Se chi scrive (nel senso, io in questo preciso momento), di cui, magari, qualcuno di Voi ha letto un libro volesse lanciarsi nel mondo degli SCRITTORI, dovrebbe fare i conti con la cifra predetta: 15.000 libri venduti all'anno. Ma diciamoci una buona volta la verità: chi cazzo vende in Italia 15.000 libri all'anno? O 30.000 se scrive un libro ogni due anni? Come cazzo è possibile immaginare di poter campare di scrittura in un paese in cui i dati d'acquisto dei libri sono pari a quelli del Burkina Faso? Anche questo è un enigma (non ho messo l'apostrofo perchè secondo me "enigma" è maschile) della SCRITTURA. Come cazzo è che tutti parlano di libri e non legge nessuno? Come cazzo è che tutti brancicano e sbarbolano dietro a "Fahreneit" e saranno 5.000 persone in Italia che acquistano e leggono più di quindici libri all'anno?
Bisogna davvero aprirsi al senso di meraviglia. E' incredibile quanto i misteri della SCRITTURA siano enormi e avventurosi che quelli antichi di Eleusi sono robette per bambinelli con i denti da latte.

venerdì 11 gennaio 2013

IL MONDO PICCOLO E LA MELOMANIA

Beh! E' ovvio che gli amici fioriscano nel mondo che bazzichi. Nà volta sbocciavano soprattutto nel mondo della musica, mò invece crescono nel mondo dei libri: ma, chissà come mai, s'avvitano sempre in qualche modo col mondo della musica. Ier sera ho chiamato quello che reputo un buon nuovo amico per parlare di materie, per l'appunto, libresche (anche se "libresco" ha un significato, vocabolariamente, negativo, in questo caso s'intende che parlavano di robe attinenti ai libri) e lui mi fa: "Potresti richiamarmi, sai sono durante la pausa d'un concerto...". Insomma, è un ragazzo giovane (cosa che v'invito a prendere con le pinze, perchè aumento l'età-soglia della gioventù a seconda della mia medesima età), fresco e veloce, e la pausa del concerto m'ha insospettito: "E' musica classica!" ho pensato. In realtà non era musica classica, era musica operistica, e sono caduto dal pero. Non ho mai capito quelli che ascoltano musica operistica, anche se un mio zio ligure, ma d'origine reggiana, aveva tentato d'ispirarmi regalandomi "La Boheme". Io l'ho pure ascoltata, ma il disco è andato a finire sotto tutti gli altri, tanto per capirci. Io i melomani non li ho mai capiti, ma c'è un ma, e forse anche più di uno. Il primo "ma" è che sono un fan della "Barcaccia", il programma di Radiotre, che considero uno delle "emissioni" più pirotecniche della radio italiana, e Suozzo e Stinchelli due speakers sensazionali, che, come si diceva dei grandi cantanti di rhythm and blues, potrebbero leggere anche l'elenco telefonico e tu rimanere lì ad ascoltarli impappinato. Se un giorno m'appassionerò all'opera sarà gran merito di Suozzo & Stinchelli. Ma, come dicevo prima, c'è dell'altro. Il mio amico m'ha detto: "Sai ieri sera c'era Verdi...", come io potrei dire, "Beh, sai, ieri sera c'erano i Tinariwen...". E ho pensato a Giuseppe Verdi, alla sua casa natale delle Roncole, comune di Busseto, a cui son passato davanti tantissime volte nelle mie peregrinazioni nella Bassa, a caccia di nonsisachecosa, ma che forse sta dentro in gran quantità in "Bluespadano" e "Compagno di Viaggio", e anche un pochetto in "Imerio". La casa di Giuseppe Verdi è a due passi (forse venticinque passi) da quella di residenza di Giovannino Guareschi, uno dei più grandi scrittori italiani e gigantesco cantore della Bassa, come cerco di dire sempre, l'alter-ego italiano di Mark Twain. E' curiosissimo come due mondi, uno per me ben conosciuto e l'altro affatto sconosciuto, siano tanto adiacenti, proprio nel cuore del Mondo Piccolo (per me il cuore della Bassa Guareschiana, che è poi LA BASSA, sono Le Roncole, anche se altri dicono Diolo e altri ancora propendono per Zavattini e Luzzara). Come dicono i pramzan e anche le teste quadre: "C'è qualcosa che tocca!" se sono tanto appassionato della Bassa e non sono un melomane. Se il più grande batterista di blues in Italia è un melomane qualcosa vorrà dire. Qualcosa vorrà certamente dire. Se una volta ascoltavo il liscio me ne andavo alla svelta, mentre adesso suono con l'armonica "Fantasia Americana" e, un poco, "Bellezza In Bicicletta", qualcosa vorrà pur dire. Andrà a finire, lo so, che diventerò un melomane pure io. Minchia, nella vita succede di tutto.

p.s. visto che i blog che vanno per la maggiore sono quelli che parlano di cibo, mi ci metto anch'io, ma, d'altro canto, da nessuna parte come nella Bassa musica, cibo e lettura vanno tutte insieme in un unico continuum. A 10 passi dalla casa di Giovannino Guareschi (e quindi a trentacinque dalla casa natale di Giuseppe Verdi) c'è la Trattoria Alle Roncole, un posto meraviglioso dove ho mangiato. Alcuni mi dicono che aujourd'hui sarebbe chiusa, ma io non ci posso credere. Sarebbe come dire che il Cane Gringo della seconda storia del Boscaccio non è mai esistito.

martedì 8 gennaio 2013

MUSICA (di quello so parlare): CIACCOLE DIETRO ALLA TASTIERA.

Beh, se devo pensare di dedicare un blog a un argomento specifico, come fanno tutti i blogger che si rispettino, quelli che campano facendo i blogger (a me par impossibile che sia possibile, ma sembra accada davvero), allora mi tocca dedicarlo alla musica: con quella sono cresciuto e pare pure che, a un certo punto, si raccontasse che ne sapessi molto sull'argomento. Di certo, però, so che Lei m'ha pure insegnato a pensare di poter scrivere, grazie a un mezzo miracolo di libro chiamato "Natura Morta con Custodia di Sax", guardacaso proprio edito da Instar Libri. Allora se mi tocca per forza dedicarlo alla musica, comincio a raccontarVi cosa sto ascoltando adesso: Angela Hewitt, insieme a Ramin Bahrami, probabilmente la più importante interprete bachiana in questi anni. E' curioso, la pianista canadese m'ha molto affascinato, tanto d'avventurarmi nell'acquisto d'un cofanetto da 80 euro che mai e poi mai mi sarei potuto permettere, ma ora mi sto chiedendo cos'è che, in realtà, m'abbia attratto. Purtroppo devo ammettere che più che il suo pianismo, m'ha entusiasmato la somiglianza con Glenn Gould. E' dura da accettare, ma sembra sua figlia. E quindi impelle la domanda successiva, perchè una questione porta subito ad un'altra questione: "Come accidenti riuscire a sfuggire alla "genitorialità" artistica"? Beh! d'altro canto Gould ha suonato soprattutto Bach e quindi potrebbe sembrare che pure lui fosse ingabbiato nella translitterazione di Ferruccio Busoni, grande ribelle pianista del suo tempo, ma come già detto, invece, Gould appare ogni giorno più trasparente e al passo coi tempi. E' il fermarsi e cercare d'andare oltre, un po' per studio e un po' per caso, come accade per il blues, in cui il salto casuale è il sale della musica, che rende la musica ininvecchiabile. Jan Johansson è proprio così: conosce certo il jazz e Eric Satie, ma quel che tira fuori dal pianoforte è cristallino, suo proprio, come è il tocco di Glenn Gould. Ma grandi esploratori dello spartito come Gould e Johansson, contrariamente a ciò che dicono i professoroni della musica, hanno la stessa dignità d'un Muddy Waters che incide "Folk Singer", con tutte quelle riflessioni acustiche attorno al così tanto bistrattato blues, col gusto pazzeschissimo dei silenzi in "Captain, Captain" e delle pause che guardacaso sono pure i tratti rilevanti del pianista canadese e del jazzman svedese. Il blues, finisco sempre a parlare di Lui, se suonato col rispetto che merita raggiunge vette artistiche inusitate, che hanno pari dignità dei più celebrati componimenti, e questo per sconfessare drammaticamente quelli che, sorridacchiando, sostengono che è pure accetabile suonarlo un poco scordati. Un accidente di minchia. Bisogna rispettarlo perchè Blind Willie Johnson sta lassù insieme alla 5^ di Beethoven dentro a Voyager. Blind Willie Johnson non suonava scordato. Tutta questa riflessione è una consecutio d'un ascolto notturno, perchè il mio amico Luigi Tempera ha postato su un noto social-network un video di Otis Rush al festival blues di Montreaux nel 1986. Considero le Cobra Session del 1956 uno dei più grandi capolavori della storia del blues e, quindi, se sto dietro al ragionamento di prima, della musica, ma vedere la squallida esibizione di Montreaux m'ha lasciato a bocca aperta. Mica Otis Rush, lui fa quello che sa fare, ma la band alle sue spalle è devastante. Magari a qualcuno piaceranno i bassisti e i batteristi che sparano a 400 all'ora o i secondi chitarristi che sparano didascalie di frasi a manetta. A me fanno cagare, neri o non neri che siano. Credo che fermarsi e pensare sia necessario. Perchè la musica è una gran responsabilità. Davvero una gran responsabilità.