lunedì 22 aprile 2013

HO TROVATO L'INVASOR.

Sì ho sempre brandito la canzone "Bella Ciao" come un vessillo, ma sempre di più, mano a mano che procedo in un'opportuna attività istruttoria, mi pare che ci sia qualcosa che tocchi e m'accingo a raccontarlo.
"Questa mattina mi sono alzato e ho trovato l'invasor". Purtroppo cari autori della canzone e cantanti a squarciagola i tedeschi non erano invasori. Erano seguaci del partito nazista, con tutti i loro difettucci (penso si colga un certo sarcasmo nello scrivere "difettucci"), ma non erano invasori. Erano in Italia, fino all'8 settembre 1943, in quanto alleati e in quanto l'Italia era entrata in guerra al loro fianco senza mezzi e senza troppa voglia. Diciamo giusto per sedersi dopo, massimo, un mesetto al tavolo dei vincitori (i germanici per l'appunto) e portarsi via un po' di ciccina. Ma le cose non andarono proprio come gli italiani s'aspettavano. Allora i tedeschi per dare man forte all'alleato nella penisola strategica avevano inviato un po' di divisioni. Per chi non lo sapesse, e contrariamente a quanto si crede ce ne sono molti, l'Italia era alleata della Germania e del Giappone. Dopo un po' di degne furbatine, che ricordano molto recenti comportamenti italiani, Vittorio Emanuele, Badoglio e Ambrosio, non capisco perchè tutti piemontesi che a me i piemontesi stanno generalmente simpatici, firmarono l'armistizio e colsero il lasso di tempo tra la firma e la diffusione ufficiale della notizia per filarsela in zona meno popolata dai tedeschi, Brindisi per la precisione. Lasciarono la nazione abbandonata, ritenendo che, di certo, i tedeschi se ne andassero immediatamente, consentendo di buon grado e con gran senso dell'ospitalità agli anglo-americani di risalire, diciamo in dieci giorni, fino al Brennero, per poi riprendere cavallerescamente i combattimenti non appena gli alleati avessero oltrepassato la linea di confine. Per cui, cari compatrioti cantanti, non c'era nessun invasore in Italia, solo un ex-alleato che l'Italia, prima che fosse troppissimo tardi, aveva mollato. Serviva una "guerra di liberazione" per sancire il nuovo stato italiano, possibilmente monarchico, ma non tutte le ciambelle riescono col buco, e ci si inventò l'invasore: dimenticando che l'invasore lo si era accolto a braccia aperte, come il migliore dei protettori. Ma adesso, con scatto bruciante, eravamo gli eroi della guerra di liberazione, e ora dovevamo pure provvedere a presentarci al mondo come i buoni italiani, nonostante l'insignificante legame col Terzo Reich, che tanto buono non era.
Per diventare buoni italiani contro i nuovi cattivi che, dopo il crollo del Fronte Orientale e la devastante avanzata dei comunisti nelle steppe fino ad arrivare un po' troppo vicino al confine dell'attuale Friuli, erano tornati ad essere i bolscevichi, allora bisognava ingegnarsi un poco. Bisognava trovare dei riprovevoli crimini che servissero allo scopo. Non ci si mise moltissimo: i bastardi comunisti avevano infamemente infoibato i buoni italiani nelle fenditure del Carso, questi inumanoni senza Dio. Sì, sì, verissimo, ma ci si dimenticò, a bellissima posta, che solo 4 anni prima i medesimi buoni italiani avevano ben "lavorato" la Slovenia, così tanto che la Jugoslavia chiese alla Commissione Alleata la consegna dei generali Roatta, Robotti e Gambara per processarli come criminali di guerra, ma il caso volle che tutti e tre fossero spariti misteriosamente dopo la Liberazione. Ciò nonostante a tutti risultò lampante che i crimini di guerra italiani in Slovenia e Dalmazia erano sciocchezzuole, mentre le foibe niente affatto. Erano un'aberrazione. Non a caso il confine di Trieste era anche la precisissima separazione tra il bene e il male, dove scaturiva il confine tra l'Est e l'Ovest.
Sì s'era diventati eroici e buoni italiani e si poteva sorridere soddisfatti, sempre che si riuscisse a dimenticare davvero il passato recente: una parte della propria storia. E' comprensibile, del resto: a nessuno piacerebbe farsi dare gratis del doppiogiochista, ma è proprio questo incancrenito passato che costruisce la fisionomia dell'italianotipo che, di tanto in tanto, emerge con tutta la sua rotonda schifezza.

lunedì 15 aprile 2013

APRILE, MAGGIO e PURE GIUGNO e UN PO' DI LUGLIO in giro a far spettacoli.

22 aprile 2013 ore 21.00.
Prima serata di Villa di Scienza e di Pensiero, Villa di Caldogno (Vi).
IMERIO E LE DUE RUOTE, lo Spettacolo d'Imerio.
Per la prima volta con, in persona, IMERIO MASSIGNAN.
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

23 aprile 2013 ore 21.00.
Negozio di cicli R Alfier Free Time and Bike, Via San Pio X, Castelfranco Veneto.
IL RITORNO DEL CANNIBALE, in occasione della ristampa dell'"Ombra del Cannibale", uno spettacolo su Eddy Merckx.
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

29 aprile 2013 ore 10.00.
Palaloria.
STORIA DI GAMBE per i ragazzi delle scuole medie di Riese Pio X e Altivole.
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

10 maggio 2013 ore 21.00.
Sala di Villa Gradenigo, Riese Pio X (TV).
STORIA DI GAMBE, lo Spettacolo del Ciclismo.
Con le biciclette della collezione di Gianfranco Trevisan e
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

12 maggio 2013 ore 17.00
Caneva dei Biasio, Cendrole di Riese Pio X (TV).
CALICI DI LIBRI.
LIBRI O NON LIBRI aka CAMUS ERA PORTIERE DI CALCIO.
In solitudine.

18 maggio 2013, ore 21.00.
SALONE OFF, Salone del Libro di Torino.
Circoscrizione 3, Piscina Trecate, Torino.
TRA IL CANNIBALE E IMERIO, una porzione di STORIA DI GAMBE.
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

21 maggio, ore 18.00
Libreria Galla, Vicenza, in occasione dell'arrivo della tappa Caravaggio - Vicenza del Giro d'Italia.
LO SPETTACOLO d'IMERIO
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

26 maggio, ore 13.30
Ponte a Elsa (FI), in occasione del pranzo dei ciclisti toscani.
LE STORIE DI GASTONE NENCINI E FIORENZO MAGNI
In solitudine.

8 giugno, ore 19.30
Castelfranco Veneto (TV), sagrato del Duomo e del Bistrot San Giustino.
L'ARTE DEL MAIALE: riflessioni spettacolari sulla norcineria
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

12 giugno, ore 21.00
Libreria di Palazzo Roberti, Bassano del Grappa (VI).
Con la benedizione di Francesco Nicolli:
LO SPETTACOLO D'IMERIO
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

23 luglio, ore 21.00
Soave (Vr). Sede esatta da precisare, con la collaborazione della Libreria Gulliver di Verona.
LO SPETTACOLO D'IMERIO
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

giovedì 4 aprile 2013

TRA PAUL BOSS E GHOST DOG (aka IL BLUES DELL'UOMO DELLA MEDICINA)

Credo sia stata la visione di "Ghost Dog" di Jim Jarmush a farmi propendere per il verso hagakuriano della vita. In altri termini io sono uno che cerca sempre il Maestro: uno che faccia da faro quando io non capisco più un cazzo di ciò che m'accade attorno. Accade ora che tribolo attorno ai libri, ma è accaduto anche un bel po' d'anni fa - ma neanche tantissimi a ben vedere - quando arrancavo nel mare magnum del blues. Allora, nei miei anni convulsi che vanno più o meno dal 2002 al 2008, ho trovato i miei pivot in 3 personaggi della scena blues italiana. Intendiamoci, ho instaurato buonissimi rapporti con molti che conservo, ma i punti di riferimento sono stati tre. Claudio Bertolin, Oracle King e Paul Boss. Uomini diversissimi tra loro. Tanto oscuro è Claudio, tanto rodomontiano è Oracolo, tanto intercalante tra l'uno e l'altro, ma inesorabilmente dotato degli Stivali delle Sette Leghe Paul Boss. Ciascuno di loro però si erge dalla cintola in su nel panorama bluesistico: mica solo per come suonano, perchè delle volte s'incapponano in accordature che neanche Little Willie John ubriaco riuscirebbe a incartapecorire così tanto, ma per come cantano e, soprattutto, per IL CARISMA travolgente. Sono uomini che non puoi fare a meno di notare, che non puoi fare a meno d'avvicinare e che capisci subito, non si sa per quale motivo, ti possono passare della gran forza che t'aiuta a star a galla se stai per affogare. Non c'è un motivo. Dio ha dato loro la "luccicanza" e a nessun altro. Non c'è ragione d'incazzarsi se l'ha data a loro e agli altri no: quel giorno è andata così. Non è un caso, secondo me, che Oracolo e Claudio abbiano buttato fuori dischi decisivi per il blues italiano: dischi che hanno tutto il passato addosso, ma che frombolano in un proprio, personale futuro. Due di quelle due manciate di dischi che del blues italiano s'hanno da salvare. "The Blues Is a Lonely Road" e "No Place To Go" fanno paura. Credo d'averli ascoltati 500 volte ciascuno e mi danno sempre la stessa sensazione d'inarrivabilità. D'Angelo "Leadbelly" Rossi non parlo, che lo conosco poco, non ho mai suonato insieme, però l'ho ascoltato spesso e so che sarebbe stato il quarto PIVOT dei miei anni convulsi se avessi avuto l'opportunità di conoscerlo un poco: 2 dischi dei magnifici,diciamo, otto sono suoi: "Jump Up Song" e, soprattutto, "I Don't Want Take Nothin' With Me When I'm Gone". All'appello mancava Paul Boss e in questi giorni è arrivato "The Medecine Man" e non c'è stato verso di scappare dalla regola: un cd a tratti magnifico che fa comprendere come quelli con la "luccicanza" addosso sono condannati a non sbagliare un colpo. Una voce strepitosa, come se ne sentono solo nella lista dei pivot, con in più il solo Johnny La Rosa e una sensibilità pazzesca, incastonata, ancora una volta non si sa perchè in un omone sghembo d'un quintale e qualche cosa. Dentro a "Medecine Man" c'è il semplice slide da favola d'Umberto Porcaro, che cancella d'un colpo tutti i bellimbusti dell'effetto scenico a tutti i costi che girano per i palchi, lasciando sul posto solo un po' di gel per capelli e forfora scongelata e l'armonica di Max Lugli che, pur essendo io apertamente idiosincratico nei confronti dello strumento che suono io stesso, è suonata con un gusto gigantesco, perfetta dietro la voce e districata come si deve in assoli niente affatto facili per come Paul Boss ha pensato il disco. "Too Much", "56", "Jessie James", "The Weight" sono capolavori e persino la rilettura di "Can't Be Satisfied", che se fosse stata para para m'avrebbe scassato il cazzo, è entusiasmante. E poi, una cosa di cui non si parla mai, quelli che han registrato: Giacomo Lagrasta e Michele Paglia. Il mondo del blues italiano è lastricato di buone intenzioni che portano all'inferno, perchè accade sovente che l'ansia di registrare in questo o quello studiolo non faccia porre la domanda: "Ma siamo sicuri che i fonici abbiano anche una pallida idea del genere musicale che si va a registrare?". In positivo mi vengono in mente i dischi dei Jacknives di Marco Pandolfi e anche "Close The Bottle When Your Done", registrati da chi del blues ne ha ascoltato, in negativo nessuno, per l'amordiddio, perchè altrimenti scoppierebbe il putiferio. Giacomo e Michele (MRS Modular Recording Service) hanno ottenuto con praticamente nulla tutto ciò che si può ottenere da un cd di blues, solo perchè sapevano benissimo di cosa si stava parlando. E non crediate sia poco.
Questo solo volevo dire. Finalmente un nuovo disco che mi riconcilia con il blues.
Chapeau, Paul.