venerdì 31 maggio 2013

INFERNO (3^ e definitiva parte)

Ora "Inferno" diventa qualcos'altro. Una metafora voglio dire. Cosa accidenti significa "Inferno"? Cioè la pubblicazione da parte di Mondadori, in Italia, ovvio, d'"Inferno"? 
Il problema mi si pone perchè, a rifletterci, "Inferno" è molto, molto, molto peggio del "Codice da Vinci". Nel "Codice" c'erano diverse panzane disseminate qua e là nel libro, ma la storia c'era, tanto che le panzane facevi finta di non averle lette, e persino un attaccamento ai luoghi. St. Germain de Pres, mi pare (o Saint Eustache?), la Cappella di Rosslyn e altri posti così. Invece "Inferno" è nientepocodimenoche TREMENDO.  Sembra scritto da un'accozzaglia di idioti che, e questa è davvero sorprendente, non si parlano tra loro. Che non si pongono minimamente il problema se c'è una connessione tra una scena e un'altra. Proprio, appare chiaro, che nessuno tra quelli che l'hanno letto durante la lavorazione se n'è proprio sbattuto un accidente di ciò che stava scritto nel libro. Ho letto un articolo su "Repubblica" di Firenze, in cui si parla di pezzi grossi di Mondadori e di traduttori, febbrilmente attaccati al libro, come fosse un importantissimo segreto militare. Ma se questi a pezzi grossi e pure ai translatori interessassero davvero i libri, o almeno ciò che noi riteniamo essere i libri: convogliatori di qualche concetto, agenti che causano pensieri, magari, nuovi, o che danno una  bella lucidata a pensieri vecchi, cosè così, allora gli uni e gli altri avrebbero davvero fatto una bella figura dicendo: "Questo libro non può essere pubblicato. Nel senso che non è neppure un libro. Non è un cattivo libro, perchè ogni cattivo libro ha in se' una qualche buonina intenzione. No. Non è proprio un libro. Le parole che sono scritte sopra hanno valore solo per il periodo che le riguarda. Fino al capoverso. Poi non hanno nessun altro valore, o quantomeno, non nel contesto espresso alla riga precedente, prima dell'a capo. Una roba così non può essere pubblicata!". In effetti, più ci penso, più catalogo l'oggetto "Inferno" nel materiale riciclabile. Non è come "Stabat Mater", "Il Ragazzo di Bruges", "La Tempesta" che, insomma, puoi passare ad altre mani che, magari, a qualcuno possono piacere. No. "Inferno" è spazzatura fatta di pagine. Va immediatamente buttato nella carta da riciclo, a meno che uno non ne trovi un altro ultilizzo, ma sicuramente non come LIBRO.
Immediatamente ho chiesto a chi ha letto il prodotto di carta dell'anno scorso, "50 Sfumature di Grigio", che cosa ne pensasse. Gli avvezzi alla lettura m'hanno guardato e, dopo breve circonlocuzione atta a giustificarsi, hanno sentenziato "SPAZZATURA". 
Allora io mi chiedo cosa rispondere a quelli che dicono che, comunque, "Inferno" e "50 Sfumature di Grigio" danno un supporto alla lettura. Sono un viatico per altre letture. Che girano intorno al fatto che entrambi gli oggetti sono MERDA SCRITTA, dimenticando che magari le case editrici dovrebbero tentare, se non di volare alto, quantomeno di staccarsi da terra oppure di scavare poco.
Sono certo che una roba come "Inferno" faccia davvero male a tutti, che non ci sono santi che non dia alcun respiro al mercato editoriale perchè si rivolge a una fetta di mercato in prospettiva del tutto sterile, e che, per esempio,  il fatto che Mondadori (in Italia, all'estero altri) ne approfitti a più non posso sia veramente vicino al reato di "circonvenzione d'incapace". E adesso che guardo bene, pure "Le Sfumature" sono uscite per Mondadori. Che possa significar qualcosa?

martedì 28 maggio 2013

INFERNO (seconda parte)

Allora. Un mio caro amico m'ha detto, al Salone di Torino, che il post su "Inferno" che ho pubblicato sul blog un paio di settimane fa, andrebbe incorniciato. Il che ora mi crea un profondo imbarazzo, perchè questa è la seconda parte e la scrivo dopo aver letto le prime 88 pagine del suddetto "Inferno". Il precedente post che ho scritto molto onestamente, voleva mettere in luce la mia eterodossia in un momento in cui tutti mi danno dello snobbone, in quanto assumo delle posizioni del tipo: "Springsteen è meglio che smetta di suonare, perchè se continua così riuscirà persino a cancellare monumenti musicali come "Nebraska" e "The Wild, The Innocent, etc. etc", oppure "che cazzo sbavate sul Salone del Libro che si vede a duecento metri che è come la Sagra dell'Agnolotto, solo che i libri non si magnano?"o, più locale, "chi cazzo se ne incula del castello di Castelfranco Veneto, se la città non ha nessuna vita culturale? I monumenti servono solo se una città li può apprezzare e questo impone un certo livello di saper stare al mondo, che guardacaso è proprio ciò che non c'è!". Insomma, volevo liberarmi un poco del mio snobismo e ho fatto tutto un post sul divertimento della lettura, che, per l'amordiddio, sottoscrivo in pieno, solo che, questa mattina, ho speso 22.50 euro (la mia libreria di fiducia mi fa sempre lo sconto del 10%) per comprare, per l'appunto, l'ultimo Dan Brown chè non volevo essere tacciato di partigianeria in partenza. Ebbene, già dopo una quindicina di pagine mi sono cominciato a chiedere se non avessi fatto meglio a mettere quei 22.50 euro nella cassetta delle elemosine del Duomo del mio paese, rimanendo assolutamente sconvolto dalla dabbenaggine e dalla sommarietà degli incastri giallistici. Immagino Enrico Pandiani mangiarsi il foulard nel suo stretto studiolo infarcito di libri per cercare meccanismi noiristici, diciamo così, a orologeria, che scoppino al momento giusto, dettagli minimi che ricongiungano inaspettatamente una trama. Oppure immagino, retrocedendo nel tempo, il "negro" Dumas tenersi celata fino in fondo ai "Tre Moschettieri" il legame tra Athos e Milady. Insomma vedo nettamente la sofferenza dei noiristi, giallisti, o come volete chiamarli voi, nel dosare il dettaglio, la violenza, il mistero, per ottenere una miscela credibile e godibile agli occhi del lettore esperto e mi chiedo come accidenti sia possibile che qualcuno acconsenta alla pubblicazione d'una cagata pazzesca come "Inferno". I meccanismi non s'incanstrano, trascuratezza bestiale nei particolari (del tipo Robert Langdon soffre di clamorose amnesie, ma si ricorda username e password della sua casella e-mail dell'università di Harward), scene assurde (come proprio mentre i cattivi li stanno beccando il suddetto Robert Langdon s'accorge che i mocassini italiani sono meglio di quelli inglesi e decide che da quel momento in poi li comprerà sempre): tutto ciò passato inosservato sotto agli occhi degli editor che non si capisce che tipo d'assistenza abbiano offerto allo scrittore. Subito all'inizio, diciamo entro le prime dieci pagine, c'è il riferimento a un orologio di Topolino che chiunque sia un poco pratichetto capisce che sarà un dettaglio importante del libro, anche se non ne ho la conferma, perchè a pagina 88 ho smesso di leggere, concludendo il mio sodalizio con "Inferno" con un perentorio: "ma vai a cagare!". Ma, a questo punto della mia vita, s'è posto un clamoroso dilemma: "E come accidenti faccio a recuperare quei poveri 22.50 euro?". Sono tornato dal mio libraio, mi sono inginocchiato davanti a lui e l'ho pregato come si prega davanti a un capitello: "Ti prego cambiami sta' merda di libro. Ti prego. In cambio te ne compro uno di Baricco, o anche "Se Ti abbraccio non aver paura", oppure anche quello che parla di quanti pezzi siano stati fatti della tipa che è stata rapita nel mio paese, ma, ti prego, cambiami stà merda...". Il mio libraio è buono. M'ha detto che potevo scegliere quello che volevo. Ho preso "Point Lenana" di Wu Ming 1 e anche oggi ho salvato la ghirba. A dir la verità il libraio voleva che prendessi qualcos'altro, perchè "Inferno" costa cinque euro in più di "Point Lenana", ma non ho voluto. A voler essere ciò che non si è, e io sono snobbone e rompicoglioni, bisogna pagare dazio e 5 euro mi pare un prezzo equo.

mercoledì 22 maggio 2013

IL SALONE (DEL LIBRO) E IO

Ricordo bene la sensazione provata al mio primo Salone del Libro, subito dopo l'uscita della "Storia Balorda". Stavo con Luigi Tempera e ricordo che m'inginocchiai davanti all'ingresso espositori e baciai per terra. "Ma che cazzo fai? Ti sei rincretinito Balle?". E' che Luigi, abitando in Piazza Cattaneo a Torino, non conosceva le pulsioni d'un provincialone come me. Essere al Salone era un traguardo, una roba mai vista. Lo smarrimento e l'affogamento in mezzo a tanti libri mi travolgeva. La cosa strana fu che dopo un'oretta che ci stavo dentro, in mezzo tutto quel casino di gente che parlava e di poveri disgraziati che tenevano i loro incontri nei vari stand delle case editrici, cercando disperatamente di far sentire ciò che avevano da dire, ho sentito la necessità di filarmela alla svelta e di ripararmi in una libreria ospitale: chessò "La Gang del Pensiero" d'Andrea Bertelli che ancora non conoscevo, ma che se avessi conosciuto sarebbe stata senza dubbio d'ausilio, o, per esempio, persino di ritornare alla Libreria Costeniero del mio paesello, che non era com'è adesso, ma che se lo fosse stata sarebbe stata di certo sollevante di fronte a quel bailamme.
Quest'anno sono tornato al Salone e quella pazzesca sensazione di confusione è riapparsa. Intatta. Incontri cogli autori negli stand che, poveri disgraziati, cercavano di farsi sentire nel bordello più totale: tutti probabilmente alle prese con lo stesso stato d'animo ch'avevo io: è un traguardo, sono venuto a Torino, e devo sfruttare al meglio l'occasione.
Purtroppo però, a osservarla da tutte le parti, non c'è nessuna occasione. 
Claudio Cecchetto, il fisarmonicista che suona con me e ch'era a Torino per tenere lo spettacolo al Salone Off, nel suo candore di termotecnico (cioè musicista non professionista, come me, del resto, che per campare faccio il barista) ha proferito il solenne: "Ma questa è come la Fiera delle Macchine Utensili, anche se lo chiamano Salone del Libro". E c'ha colto preciso, preciso come un cecchino a Srebenica. E' proprio così, nonostante il squaqquaraquare della "Stampa" e la diretta di Fahreneit. Il Salone del Libro è solo un immenso negozio di libri che s'allestisce ogni anno al Lingotto. Nè più, nè meno di questo. Chi cerca un luogo un cui si respiri cultura, cioè un modo di pensare e sentire particolare, ha sbagliato indirizzo, nel senso che ciò che trasudano i libri lo si può percepire in ogni libreria di paese, perchè chi ama il libro quella sensazione la può percepire in tutti i luoghi in cui quell'oggetto ci sia, indipendentemente dal fatto che si trovi, appunto, alla "Gang del Pensiero", in cui quell'oggetto è amato, oppure in una libreria in cui il gestore ha tergiversato fino all'ultimo nella scelta se aprire in quel preciso posto un negozio Intimisssimi.
Il Salone del Libro non serve agli autori, nel senso che gli emergenti, o immergenti, si trovano nella spiacevolissima posizione di doversi portare gli spettatori, che chi, come me, ha suonato per molto tempo,  è una circostanza che ricorda con terrore, acuita dal disperato sgomitare per farsi sentire in mezzo al contemporaneo soggiornare d'altri incontri più che limitrofi. I grandi autori, quelli che vendono, al contrario, non hanno bisogno del Salone, perchè già, per conto loro, vendono ed è quindi piuttosto vero il contrario: è il Salone del Libro che ha bisogno dell'autore gettonatissimo.
Gli editori (in particolare i piccoli, quelli che svolgono la funzione del vero polmone di ciò che potremmo chiamare, perdonatemi, letteratura), nonostante i comunicati stampa trionfalistici del Salone, hanno venduto pochissimo più degli anni scorsi e i vuoti già percepiti quest'anno aumenteranno negli anni successivi, perchè, dopo un po', valgono i conti della serva: "D'accordo il Salone è una gran vetrina, ma quanto mi costa? Tra affitto dello stand e spese d'alloggio, quanti ostia di libri debbo vendere per andare in pari? Già sono nella merda perchè si vende pochissimo e allora perchè l'anno prossimo dovrei incasinare di più la mia situazione economica con stè spese che temo sia meglio evitare?". 
Hanno venduto tantissimo i grandi editori, quelli che stanno spezzando la schiena al mercato del libro medesimo, col loro grande vantaggio dei bilanci consolidati e la possibilità della scontistica pazzesca, rivelando ancora una volta una delle principali malattie italiane, assecondata immancabilmente pure a Torino: "umili con i potenti e boriosi con i modesti" che già "Uccellacci e Uccellini" qualche milione d'anni fa evidenziava. 
Magari il Salone è servito ai lettori: hanno finalmente trovato un sacco di libri e una scontistica interessante, ma qualora tenessero conto del biglietto d'ingresso e del costo della trasferta troverebbero una ragione nell'esserci stati se non l'assecondare l'anelito della transumanza verso ciò che i mass media essere la Mecca culturale torinese?
E poi, diciamocelo, tra tutti gli interventi che ho ascoltato radiofonicamente, facendo finta di nulla, per esempio, sulla capziosissima questione di cosa ci facesse una mente eminente come quella di Luca Barbarossa a condurre la diretta dal Salone del Libro per Radio2, non so come mai mi sia capitato d'ascoltare una risposta sensata alla domanda: "Ma perchè in Italia si legge così poco?".
Prescindendo dal fatto che questo è un problema che in Italia s'è sempre evidenziato, ma supponendo di volerlo risolvere, una possibile soluzione deriverebbe da una semplice constatazione: "Ma com'è possibile risolverlo se lo stato stanzia sempre minori fondi alla cultura, senza che nessuno, di destra o di sinistra, prenda una fortissima posizione contro questo stato di cose? All'estero, per esempio, non si manca di sovvenzionare i piccoli editori che sviluppino particolari temi narrativi o saggistici, come mai in Italia no?". Ho sentito migliaia di circonlocuzioni persino ai magnanimi microfoni di Fahreneit, ma nessuno che auspicasse una buona volta un preciso intervento della politica in questo senso. Ma come mai?
La risposta purtroppo è, ahimè, cinquestellare. I capoccia del Salone, per la loro stessa posizione, sono legati a doppio filo con gli apparati politici o di derivazione politica: enti parastatali, università, fondazioni sostenute da ciò che rimane del finanziamento pubblico. Chi cazzo volete che si erga dalla cintola in su a rimproverare aspramente chi consente loro di tenere famiglia e anche una bella famiglia?
Perciò è inevitabile che il Salone non giovi a nessuno, se non alle chiacchiere da bar della cultura e dell'ovvio e se non al Salone stesso, che se ne frega del Salone Off incastonato nei posti più improbabili del tessuno urbano di Augusta Taurinorum, delle corde vocali dei relatori negli stand che si sgolano per farsi sentire, delle case editrici mediopiccole e delle librerie sempre più nella merda. Ciò che è importante è la visibilità del SALONE DEL LIBRO DI TORINO. E' importante che ci siano i Barbarossa, le televisioni, anche quelle che hanno fatto fortuna spezzando le reni alla qualità culturale delle emissioni, tutto ciò perchè è un soggetto economico e che dà pure da lavorare e, come tutti sanno, gli utili e i posti di lavoro (pur temporanei) oggi sono discriminanti importantissime per valutare l'importanza d'una manifestazione. Però, per quanto mi riguarda, il Salone non mi frega più, a meno che non diventi famoso perchè, come tutti sanno: "La grandezza della mia morale è proporzionale al mio successo".

giovedì 16 maggio 2013

INFERNO.

E' uscito "Inferno" di Dan Brown. Lo vedo in tutte le vetrine delle librerie. E cosa devo dire? So già che le persone che scrivono e pubblicano (volevo usare la parola "scrittore", ma non la voglio usare) sono incazzate marce perché i loro libri (anche i miei, voglio dire) non se li fila nessuno, mentre basta che Dan Brown scoreggi e son tutti lì ad annusarne le flatulenze. Ora io, qui, devo dire la verità. Io ho letto "Il Codice da Vinci" e posso giurare che per un giorno e mezzo non ho fatto altro che desiderare d'avere un po' di tempo per vedere come andava a finire. M'ha persino fatto venir voglia d'andare in Scozia per visitare la Cappella di Rosslyn, che secondo me non è poco. L'unico altro libro che ho letto di recente che m'ha fatto venir voglia d'andare in qualche posto, Praga per la precisione, è HHhH di Laurent Binet. E' chiaro che dopo quel giorno e mezzo di lettura febbrile non l'avrei ripreso in mano. Non è come, chessò, "Due Anni Senza Gloria" di Lodovico Terzi che ho appena finito di rileggere per la seconda volta o come "Memorie di Adriano" che mi porto pure in viaggio che non si sa mai che mi venga voglia di risfogliarlo per la sesta tornata. Non è come quei libri là, ma non dimentico il gusto di rimanere aggrappato a quelle pagine per scoprire dove ostia sarebbe stò benedetto Santo Graal e cosa c'entra stà Maria Maddalena. "Sì, sì, ma in America hanno una scuola per far saltar fuori stì best seller. Tutto stò schifo commerciale!". Allora, detto tra noi, a me che solo sentir parlare di scrittura creativa mi viene la cistite, in una scuola di quel tipo lì correrei alla svelta, perchè dev'essere la stessa scuola da dove è saltato fuori Thomas Harris, che a me piace un sacco (tranne l'ultimo quello della giovinezza di Hannibal Lecter), mentre i moralisti italiani non vanno aldilà di scrivere le solite cagate sui loro struggimenti esistenziali, di cui pensano che a qualcuno interessi, ma non interessano un cazzo a nessuno. Voglio dire se i prodotti sono "Inseparabili" e "Stabat Mater", oppure qualsiasi roba di De Carlo, allora 1000 volte meglio Dan Brown, che almeno non ti rompe i coglioni con belle frasi che non dicono un cazzo. Almeno dentro "Il Codice da Vinci" qualcosa si muove. C'è una storia che sventaglia da una parte all'altra. Per non parlare dell'altro filone esistenziale della Librolandia italiana: le disgrazie altrui. L'autismo, l'omicidio efferato e tutte quelle robe che scatenano il voyeurismo pietoso tanto caro alla cultura cattolica, "il culto delle ossa e dei cimiteri" come la chiamava Gore Vidal. Per cui, per quanto mi riguarda, anche se non c'ho che quei pochi euro, credo che li spenderò in "Inferno", perchè preferisco cento volte quel giorno e mezzo di bramosia attorno a una roba che parli delle visioni (almeno credo, io mica ancora l'ho comprato e non so di cosa parli) infernali di Dante Alighieri che uno m'impietosisca sui drammi esistenziali d'un povero tetraplegico, che, tra parentesi, conosco molto bene, ma sono fondamentalmente cazzi miei e di quello a cui è capitata la sventura. Molto meglio Dan Brown che i beccamorti della pietà di cui in Italia siamo stracolmi. E per quanto riguarda Faletti? Beh è chiaro che uno che abbia letto prima James Ellroy ai libri di Faletti dà fuoco subito, mentre se comincia da lì, dal buon ex-cabarettista voglio dire, allora li leggerà fino a che non incontrerà qualche anglosassone coi coglioni e darà fuoco ai libri di Faletti successivamente. Comunque sempre di fuoco si tratterà.